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Una comprensione nuova dei Lirici greci, una loro attualizzazione e poetica versione al tempo della guerra (1940), nel cuore ferito del Novecento. Il volume ricostruisce un momento centrale nella storia della cultura classica del Novecento. I Greci e noi, potrebbe esserne un titolo. Intorno al modo di leggere i Greci senza arrendersi alla disperata impresa, potrebbe esserne un altro. I Greci, la loro lirica, la loro voce scarna e remota e la poesia moderna, ma anche la sfida del moderno e dei moderni a ergersi come mediatori dell'antico. Frutto di laboriose ricerche in archivi e biblioteche - a Bologna, Bagno di Romagna, Ravenna, Pavia -, il volume mette in scena im rapporto complesso e avvincente fra un poeta, Salvatore Quasimodo, un filologo classico, Manara Valgimigli, e un filosofo dell'estetica, Luciano Anceschi, intorno a un'impresa di traduzione e allestimento di una nuova tradizione del moderno alla luce dell'antico. Attraverso l'edizione e il commento dei carteggi tra Quasimodo e Manara Valgimigli e tra Valgimigli e Luciano Anceschi rivive una trama di rapporti, spesso intrisi di reticenze e silenzi, che variamente segnarono genesi e prima fortuna della versione dei lirici. Le note affidate da Valgimigli alla sua copia dei Lirici greci nel rivelare dissensi e assensi rispetto alle scelte di Quasimodo traduttore consentono di leggere l'operazione quasimodiana anche alla luce della filologia classica italiana ed europea degli anni Venti e Trenta.