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L'intreccio amoroso sembra opera di un Mefistofele stakanovista, un povero diavolo ostinato e, per ciò stesso, noncurante del fatto che le proprie trame si annullano sulla scena a causa di personaggi comicamente incapaci di interpretare sé stessi. Il linguaggio di individui viventi senza identità e senza la ragionevole speranza di guadagnarne una somiglia molto allo schizofrenese: psicosi, violenza sucidaria ed omicidaria e sesso entrano a far parte di una quotidianità muta e piatta. Si "tradisce" fin da principio, pur nell'assenza di autentico soddisfacimento, dunque: si continua a "tradire" fino a concepire il matrimonio come l'unica violazione dei legami erotici permanenti. Il guaio è che nessuna delle relazioni, ioneschiane, beckettiane, shakespeareane e perché no? petrarchiane, che si materializzano, è sottratta al disastro. I dilemmi si fanno opprimenti tanto da far nascere allo spettatore-lettore anche il dubbio morale, ogni qual volta in cui una madre rapita dai propri bisogni trascura il proprio figlio, un padre diventa transessuale, uomini e donne si uccidono per guadagnare la via del libertinaggio: grapho-cronaca di una vita qualunque.