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Friedrich Theodor Vischer (1807-1887), filosofo, poeta, critico d'arte, di moda e di costume, apprezzato da personaggi come Michelet e Vaihinger, attraversò l'Ottocento rispecchiandone, con le sue personali vicende intellettuali e politiche, le inquietudini e le spinte ideali. Prima filosofo idealista tra le file dei post-hegeliani di sinistra e autore di una grande Ästhetik che divenne testo enciclopedico fondamentale per gli studi di estetica e di poetica, instaurò più tardi un dialogo tra estetica e scienze positive, che si apriva a indagini psicologiche sul sogno e la fantasia e per molti versi anticipava e si intrecciava con le ricerche sull'"empatia" portate avanti dal figlio Robert. Il Sublime e il Comico, pubblicato nel 1837, espone nei suoi tratti essenziali quella stessa "metafisica del Bello" che troverà ampi sviluppi nella successiva, monumentale, Ästhetik (1846-57). Autentico motore del Bello è infatti per Vischer la sproporzione tra il sensibile e lo spirituale, ora riformulati sotto i titoli del comico e del sublime, messi a fuoco con rara efficacia nel loro potenziale di rottura di ogni unità (o bellezza) precostituita. Accade però che le categorie del Sublime e del Comico, chiamate a fissare in una cornice metafisica l'alterno prevalere di idea e fenomeno nel Bello, finiscano per denunciarne la natura irriducibilmente negativa, traducendo così su un piano speculativo un'esperienza del bello decisamente inquieta e "sublimizzata", fonte di perturbazione dell'animo. Ma è proprio qui, nel suo hegelismo ribelle, che Vischer si fa più vicino a quel pensiero estetico dello spaesamento e della dismisura che attraverso i suoi molteplici "ritorni" novecenteschi giunge a toccare i nodi della nostra esperienza attuale. Quest'opera cruciale viene ora presentata per la prima volta al lettore italiano con la puntuale cura di Elena Tavani, corredata di esaustivi apparati esegetici, critici e bibliografici.