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Che cosa può rappresentare la morte in un universo dove la bellezza sembra sempre sfuggirci? L'estremo territorio del desiderio? Il riposo dalla fatica di essere? Il momento più perfetto della fusione? Per Kawabata la risposta ha molte facce, tante quante ne suggeriscono il suo incontro precoce con il lutto, il serpeggiante 'cupio dissolvi' che percorre la sua vicenda biografica fino al suicidio, soprattutto il radicamento in una cultura, quella giapponese, dove la percezione della bellezza, lo stesso slancio d'amore sono tanto più acuti quanto più si accompagnano alla consapevolezza dell'inattingibilità, o della perdita segnata e sempre imminente dell'oggetto del desiderio. Le tre prose che compongono questo volume, scritte in momenti diversi della vita dell'autore e con registri fortemente difformi, del tema della morte restituiscono tre accezioni differenti e complementari. Se il racconto giovanile "Maestro di funerali" pone l'accento con amara ironia sulla familiarità di Kawabata con l'ultimo addio, svolgendo in qualche modo la funzione catartica di una seduta psicanalitica, "La bellezza sfiorisce presto", di dieci anni dopo, è già la prova di un autore maturo, in grado di avventurarsi con una scrittura audace tra le zone d'ombra che legano eros a thanatos. Da nodo intimo e privato, la morte viene via via acquisendo valenze più ampie e universali, fino a caricarsi delle sfumature mistiche, spiccatamente zen, che riconosciamo in "Voce di bambù fiori di pesco".