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A quarant'anni dalla morte, oscena, di Pier Paolo Pasolini, artista osceno, è giunto il momento per riflettere con tenacia su un argomento che pochi come lui hanno contribuito a mettere a fuoco. L'osceno, appunto. L'osceno non si può archiviare facilmente, non si può ridurre a questioni di etichetta, di buone maniere, di convenienza ("questo non si dice", "questo non va bene"). L'osceno è molto di più, o meglio: è sempre qualcosa d'altro. Come il sublime, l'osceno agisce da attrattore infinito per la creatività umana: muove dal basso, dal degrado delle periferie, dalla pancia della cultura popolare, dagli organi e dalle sensibilità da sempre considerate inferiori... e tuttavia il suo potere è sommo. La sua virtù è quella di provocare, di impedire che ci si attardi nel solco delle proprie certezze, che ci si accontenti del proprio ordinamento accomodante, che ci si pieghi alla tirannia del proprio realismo. L'osceno turba la tranquillità degli assiomi, ridisegna i confini tra il dicibile e l'indicibile, cancella le distanze e ridistribuisce gli onori e gli oneri dell'organizzazione culturale. Se è vero, come sostenne Walter Benjamin, che cultura e barbarie sono in simbiosi, l'osceno è per così dire il propulsore, il combustibile di questa continua, vitale convivenza. I saggi qui raccolti intendono seguire e sondare questa provocazione; intendono cioè raccogliere la sfida, accettare e sviluppare la complessità che l'osceno rappresenta.