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Alla metà dei fatidici anni Settanta, Porta coglie l'involuzione manieristica dell'avanguardia e sente addirittura come possibile la rinuncia alla parola. La via d'uscita è la scelta della voce, strumento di una radicale riconfigurazione della scrittura poetica, scossa a tutti i livelli: metrico, retorico, sintattico, oltre che tematico e figurativo. Le raccolte degli anni Ottanta esprimono così un nuovo soggetto integralmente rifondato percettivamente e ideologicamente che, lungi da ripiegamenti intimistici e da cedimenti corrivi, ricostruisce la propria identità nella continua dialettica, mai pacificata, con i suoi lettori/ascoltatori. Un peculiare lettore/uditore, da "Passi passaggi" in poi, è tenuto ad accogliere una lirica che "buca la pagina" e penetra, per forza di voce, nell'oceano prelinguistico delle percezioni e dell'esperienza vitale, in cui convivono desiderio e bisogno, attestazione e progetto, critica e slancio...