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Negli Stati Uniti, il Paese della modernità, la politica è dominata da idee, miti, slogan addirittura anteriori all'indipendenza del 1776. "Il nazionalismo americano" esamina queste idee e, in particolare, le conseguenze del largo consenso attorno alla concezione religiosa di un "carattere superiore" delle istituzioni democratiche, faro della civiltà nel mondo. Dopo il trauma del "lungo 1968", è negli anni Settanta che un gruppo di intellettuali e politici rimettono l'orgoglio nazionale e l'espansione imperiale all'ordine del giorno. Sono i cosiddetti "neoconservatori" di cui, quarant'anni dopo, possiamo misurare il successo. Oggi sono visibili i limiti del loro progetto: i costi umani dell'occupazione dell'Iraq e quelli finanziari di un esercito presente nei cinque continenti possono essere sopportati a lungo, ma non per sempre. Si sta aprendo quindi una nuova fase, caratterizzata da un declino dell'egemonia americana, proprio come conseguenza del progetto nazionalista egemone fin dall'elezione di Ronald Reagan nel 1980. Il libro esamina non solo le idee ma anche le trasformazioni del sistema dei partiti, dimostrando come questi abbiano recuperato coesione e chiarezza politica: il "centrismo" è stato per il momento abbandonato.