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Nel cinquantenario della morte del poeta Camillo Sbarbaro un incontro di italianisti ad Arezzo (nel 2017) presso l'Accademia Petrarca ne ha ripercorso la storia umana e letteraria. Ligure, di Santa Margherita, Sbarbaro a soli ventisei anni pubblica la raccolta di poesie Pianissimo e nello stesso anno si reca a Firenze dove incontra Ardengo Soffici, Giovanni Papini, Dino Campana, Ottone Rosai e altri artisti e letterati che ruotavano intorno alla rivista «La Voce». Richiamato alle armi nel 1917 il poeta scrive al fronte la raccolta poetica Trucioli, pubblicata da Vallecchi nel 1920. Sarà proprio Trucioli a fargli conoscere, un altro "grande ligure": Eugenio Montale. Tra il 1928 e il 1933 Sbarbaro viaggia soprattutto in Europa cogliendone i nuovi venti letterari e politici. Al 1933 risale il nuovo libro Calcomanie che, a causa della censura, circolerà solo nel 1940 in una ventina di copie dattiloscritte. Nel 1945 Sbarbaro inizia un'intensa attività di traduzione di autori francesi e greci. Gli ultimi anni di lavoro letterario dopo il denso volume Fuochi fatui del 1956 lo vedono impegnato solo in piccole raccolte di prosa: Gocce (1963), Il "Nostro" e nuove Gocce (1964), Contagocce 1965), Bolle di sapone (1966), Vedute di Genova (1966) e Quisquilie pubblicato poco tempo prima della sua scomparsa (1967). Sbarbaro, pur nella sua produzione "misurata" e nel suo vivere appartato, ha rappresentato una delle voci più limpide e alte della lirica italiana del Novecento.