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La riflessione sulla letteratura di Federico De Roberto, per la sua ricchezza e l'originalità, è stata tra le più notevoli in Italia negli ultimi due decenni dell'Ottocento, e fa corpo con la straordinaria produzione narrativa, illuminandone l'intima problematicità e gli andamenti razionali. Dall'esordio novellistico de "La Sorte", nel 1887, al vertice de "I Viceré", nel 1894, il narrare di De Roberto è sempre mediato dai teoremi di un «metodo» -scienza sui generis dell'arte - temprato negli anni meditando la lezione degli autori che riteneva maestri: Leopardi, Baudelaire, Flaubert, Zola, Verga, Bourget, Maupassant. Era attrezzato per affrontare, mentre ne assimilava l'audacia sperimentale, le aporie della scuola naturalista: ma sul terreno giusto e più nuovo, senza concedere nulla agli spiriti di restaurazione (anche politica) degli idealisti. Giunse a una diversa scienza del romanzo, aperta e duttile, nella quale la ragione che pianifica e l'avventura dell'invenzione s'integrano perfettamente, in un sistema appassionato e appassionante. Seguì con attenzione, dalla sortita zoliana alla crisi finesecolare, il fervido dibattito francese sul romanzo e sulle questioni etiche e sociali che venivano associate ai destini letterari: un insieme di discorsi in conflitto che interessò scrittori e pubblici di tutta Europa e che nella sua saggistica (come nelle correlate pratiche creative) si riflette lucidamente. È uno specchio in cui troviamo cose note e volti di cui non avevamo sospettato la rilevanza. Sicché, mentre dice di De Roberto, questo libro è anche una panoramica per certi versi inedita, e parla più in generale del transito dell'arte del racconto, in Italia come altrove, verso i territori della modernità novecentesca.