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È evidente nei "Promessi Sposi", di là dalla vicenda narrata, il significato edificante cui essa deve servire. Il narratore sta più in alto dei suoi personaggi, su un podio moralmente rilevato dal quale fa valere i propri convincimenti. Così le situazioni potenzialmente dilemmatiche, la tormentata vicenda umana si svigoriscono, perché è già dichiarata la scelta moralmente obbligata. Il narratore, mentre racconta la storia, la commenta e con bonaria intransigenza impone il suo sistema di valori. Come viene meno il realismo della rappresentazione, così non può esserci verità nella lingua, perché vi si avverte la concrezione di un'ideologia che l'autore intrude nel suo spazio semantico. Lo stile perde vivacità in quanto veicola le espressioni "altre" del narratore, scaturite dal suo sistema ideologico e non dalla situazione narrativa. Ciò che non si deve fare cade sotto una censura che lascia emergere il negativo solo in forma espurgata, evitando ogni lessema che evochi la crudezza delle situazioni, soprattutto se legata a fatti moralmente abnormi. L'impatto con il reale è esorcizzato e in suo luogo erompe la frase vibrante, perentoria: "la sventurata rispose", l'"infame capriccio".