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Mirka non è mai nata. Un parto di fantasia. Oppure è nata due volte. L'autrice dice di sé in terza persona. È un'altra. La separazione dai genitori è avvenuta in tenera età. Lacerazione brusca, repentina, immotivata. Una gemma, come di primavera, su cui ha soffiato un tornado. Dove l'avrà portata? La guerra, la povertà, l'arretratezza: lo stigma di sempre. Viene ceduta come fosse un oggetto. Così, all'improvviso. Diciamo pure... uncinata e portata via. Se la vita è relazione, cosa potrà scaturire dall'estraneità ambientale, culturale, affettiva? Ecco che la bimba elegge un universo tutto suo, fantastico eppure reale, povero ma solidaristico... Oggi Mirka racconta la sua leggenda con l'occhio della bambina di allora: semplice, interrogativo, spaventato. E con lo sguardo dell'autrice e dell'artista di ora: terso, partecipe, emozionato, intimamente coinvolto, incapace di asperità. A tratti poetico. Carezzevole e forte come il collante con cui ammorbidisce e fissa l'epidermide cartacea delle sue sculture leggere. Ma il grido c'è. Sotterraneo. Intenso. Da rompere i timpani.