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La sindrome rancorosa del beneficato è l'eccellenza dell'ingratitudine: una malattia dell'anima - della psiche, nell'accezione degli antichi greci -, che colpisce la capacità, la forza, la decisionalità, il coraggio e l'onestà intellettuale del malato; è quel sordido, infondato rancore che coglie chi ha ricevuto un beneficio, poiché tale condizione lo pone in debito di riconoscenza nei confronti del suo benefattore: un beneficio che dovrebbe riconoscere ma che non riesce ad accettare, al punto da sminuirlo, negarlo, considerarlo un peso del quale liberarsi, trasfigurando così il benefattore in una persona da dimenticare, penalizzare, calunniare. È questo lo spirito creatore del romanzo: una storia barocca patinata di giallo. Siamo nella prima metà del '600, lo scenario racchiude una piccola città e un isolato borghetto, roccaforte di un vescovo conte. Qui hanno luogo le vicende di personaggi inquietanti - sebbene a prima vista parrebbero diversi -, primo fra tutti un diacono in carriera, diabolico erotomane, un folle allucinato, eppure uno squisito letterato che si nutre di libri.