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Baltasar Gracián è senza dubbio autore di prima grandezza del secolo XVII. La sua opera, per molti aspetti oscura ed enigmatica, contiene in sé caratteri peculiari della cultura barocca: dall'antropologia politica del Seicento, al dibattito teologico-politico della Controriforma, sino al curriculum gesuitico in campo retorico. Nella ricerca, "il silenzio e la rosa", l'allegoria utilizzata nel celebre Criticón, diventa chiave di lettura e, insieme, chiave d'accesso alla sapienza antropologica di Gracián. La prudentia è rosa del silenzio: rimanda all'aspetto etico e regolativo della sospensione del giudizio, tratto caratteristico del Sovrano barocco, ed alla dissimulazione dell'uomo saggio. Così, pure, omologata all'arte del "ser persona", la rosa ci porta al centro dell'originale stile e della filosofia di Gracián. Nell'emblema del gesuita aragonese, la rosa è la mise en abyme: arte della prudenza nel dire e nel fare che si lascia intendere proprio nel silenzio. Il mondo del Seicento può apparire enigmatico, ma non è assurdo, e, per un gesuita, un buon fine è aureola di tutto. Ma quale è il fine? L'uscita di scena dell'eroe sotto l'applauso del pubblico affascinato, o l'abbandono del vano teatro, per il cristiano disingannato? La risposta di Gracián coincide con il suo personale itinerario di ascesi: dalla ricerca della gloria del Héroe, al viaggio allegorico del disinganno nel Criticón; dall'arte di saper vivere, all'arte di saper lasciare la scena del mondo.