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Ci voleva Francesco Vannoni con il suo originale senso del rotondo, del misurato garbo da poeta di altri tempi, per ricostruire un Cielo a misura di senese. Provate a farvi leggere qualche cantico ad alta voce e chiudete gli occhi. Vi appaiono dapprima vicoli, stradine in ombra, con tutto un correre, un vociare, un gesticolare, un chiamarsi e un rispondersi, perché questa è una commedia che non sta in Cielo, ma è ben radicata in terra di Siena. Provenzano, Sapia convivono con il Conte Chigi e Silvio Gigli, e nel mezzo ancora quel San Bernardino che tratta tutti come fossero ancora «i mi' cittini e le mi' vecchine», con voce piana, con quella gentilezza tutta senese, spesso invidiata, spesso anche mal imitata. C'è qualcosa che si muove oltre e che immaginiamo: si intravede per ogni personaggio il modo di camminare, di volgere la testa, di muovere le mani, di abbassare per pudore la testa o di alzarla per fierezza di passate consuetudini. Ma tutti sembrano ancora percorrere la loro indimenticata città, facendoci a ogni incontro tremare di pura commozione.