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Questo volume non è il tentativo diligente di un curatore di riunire gli scritti che Jacqueline Risset ha consacrato a Georges Bataille. È la "visione" prontamente fissata su un foglio dall'autrice stessa nel momento in cui si è - come un lampo - imposta alla sua mente, inattesa, istantanea, e da lei archiviata senza averla prima convertita in progetto compiuto: e ciò nell'impazienza, forse, di affidarla alla feconda virtù della distrazione e alla chance, che presiede all'atto di scrittura, quest'ultimo essendo, come afferma Bataille, un aprirsi alla sorte nell'annullamento di ogni operazione subordinata a un fine. Un abbozzo più che un vero e proprio libro, come mostrano, nel foglio autografo che racchiude l'indice del volume, la cancellatura parziale di un titolo e la virgola che fa seguito all'ultima voce dell'indice stesso, quasi a lasciare in sospeso o incompiuta la struttura della raccolta, i cui capitoli - dati ora in lingua italiana ora in lingua francese sembrano tenuti insieme unicamente dal rigo verticale tracciato sulla parte sinistra del foglio, e dal titolo generale, scarno, apposto in alto al centro: Bataille. Si potrebbe invocare l'istante così caro alla studiosa, se è vero che, nella tensione di definirne la natura e di reperirne le molteplici facce «in tutti gli aspetti dell'esperienza umana», Jacqueline Risset ne ha teorizzato una specie propria del lavoro della traduzione ma estensibile a tutti i campi in cui vi è atto creativo: d'istante prima della creazione» dove, scrive, sono «in gioco ancora altre possibilità».