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Roma, estate del 100 a.C: una folla in delirio irrompe nel carcere dove è trattenuto un tale che si professa figlio di Tiberio Gracco, il tribuno martire ammazzato trentanni prima. Liberato a forza, il sedicente Gracco è accompagnato a casa da una massa festante, che presto lo eleggerà tribuno. Roma, autunno del 45 a.C: nel parco di Trastevere dove Cesare ha organizzato la grande manifestazione per celebrare il suo rientro vittorioso dalle guerre civili, una folla immensa si accalca entusiasta sotto al palco dove tra omaggi e applausi si esibisce al pubblico un individuo che si professa nipote di Gaio Mario, il salvatore di Roma che il senato condannò all'onta dell'esilio. Come spiegare questi scenari di mobilitazione popolare? Davvero la credula plebs, come la stigmatizzavano le fonti antiche, si lasciava semplicemente sedurre e imbrogliare da impostori e arrivisti? O era la memoria traumatica evocata da questi nomi a stimolare emotivamente migliaia di cittadini e a spingerli per strada, per affermare se stessi e la propria identità politica?