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Che cosa tiene insieme le "cicalate" con le "prediche", un oscuro dialogo rinascimentale con i rimaneggiamenti teatrali secenteschi? La precisa coscienza metalinguistica dei loro compositori, in un "secolo", cioè il Cinque-Seicento, in cui tutto, o quasi, sembra ruotare attorno alla questione della lingua. Quella qui indagata, attraverso alcuni suoi generi significativi anche se tuttora poco studiati, è un'epoca attraversata da sguardi in avanti e all'indietro, da fervide polemiche tra fautori del modello fiorentino e anticruscanti, tra nostalgici dell'aureo Trecento boccacciano e petrarchesco (nella codificazione bembiana) e propugnatori del naturalismo della lingua parlata a Firenze nel Cinquecento, tra gli affezionati a un modello linguistico unificante e gli estimatori della diversità e del plurilinguismo. I saggi sono di Raphael Merida, Federica Rando, Fabio Ruggiano, giovani studiosi del Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne (DICAM) dell'Università di Messina.