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In una Roma spettrale ed ostile, si apre "un mondo che è separato dalla città, ma è dentro la città"; quello dell'ospedale dove viene portata in coma Federica, la "figlia adorata" dell'autore che, in presa diretta, racconta con precisione quasi chirurgica, la settimana di passione che porterà sua figlia, a sua volta madre di tre ragazzi, alla morte. Nell'attesa, gelata dal terrore di un evento estremo, Fausto Gianfranceschi è di colpo messo a nudo, scorticato, costretto dalla inconsolabile sofferenza a raccontarsi e a raccontare l'accerchiamento terribile del destino. Inizia, così, un monologo intenso e impietoso condotto su più piani temporali che s'intersecano di continuo, sapientemente alternati e sospesi fra lo sgomento del presente e la rievocazione del passato in cui si ricostruisce l'intensità del rapporto con la protagonista assente, una ragazza speciale, come lo è ogni vita umana. Prima minacciato e poi lacerato dal vuoto di una perdita incolmabile, l'autore si incammina attraverso la nostalgia, il rimpianto, l'incredulità e l'inspiegabilità di un evento tanto estremo quanto innaturale. Un racconto doloroso, dunque, ma che allo stesso tempo ci narra non solo come da una morte possa nascere nuova vita (gli organi della donna aiuteranno a far sopravvivere diverse persone), ma anche di come un trauma possa far cadere le difese e rinsaldare i legami.