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Si sa che i "passi di addio" meritevoli di qualche attenzione sono in realtà dei "ripassi": ritorni affettivi e conoscitivi sulle discontinuità che chiudono, per qualche aspetto, una stagione di vita e ne aprono altre, tutte da scoprire o riconoscere, in questo caso anzi da abitare. Sì, perché i versi di questa raccolta di Benito Regis nascono a margine a un banale quanto fastidioso cambio di residenza: da un vetusto e fatiscente palazzo mantovano a una restaurata casa condominiale, proprio dietro al Duomo. Un evento che segna: la distanza in linea d'aria è poca cosa, non più di duecento metri, ma bastante a cambiare stabilmente un punto di osservazione consolidatosi negli anni e a sottrarre le costanti, o ritornanti, atmosfere di un quotidiano divenuto ormai paesaggio dell'anima. Da qui una serie di intuizioni sparse in un trittico a suo modo "esistenziale": dove gli spunti narrativi fanno emergere non lievi domande di senso. Da dove a qui? Perché oggi invece che anni fa? Per quali sorprese o conferme? Per quale "terra promessa"? Domande non oziose né eccessive se il presupposto di fondo è che tutto avvenga all'interno di un grande, sconfinato disegno, misterioso e affidabile.