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Un disturbo di cui soffriremo tutti, dopo che questa lunghissima parentesi Covid-19 sarà finita, riguarderà lo sforzo di rientrare nel tempo. Ne abbiamo tanto ora, tantissimo, specialmente chi non lavora agile. E perfino chi lo fa ogni tanto rifugge dall'agilità stakanovista e si rifugia in un tempo senza tempo, senza ore a battere il ritmo, senza minuti. Un tempo vuoto, tutto da riempire. Di tempo disteso, dilatato. Tempo di cose da non fare più che da fare, al cui pensiero cerchiamo di soprassedere, di convincerci ad accettare questa solitudine imposta, convincerci che anche così è comunque vivere: da soli, in due, per piccoli nuclei, sebbene separati da altri che sono anche la nostra vita. Separati da figli e nipoti, soprattutto, la cui distanza diventa, per un attimo bruttissimo, reale. Se tutte le altre assenze si tollerano, a questa si fatica ad adattarsi: se non ci ammazza il virus lo farà la nostalgia. Ventisei piccoli modi di dire la difficoltà di ritrovarsi all'improvviso in un mondo nuovo e ostile, di fronteggiare nuovi timori e proteggere la speranza.