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«Come ridare senso al termine umanismo?». A tale domanda tentò di rispondere Martin Heidegger, e con lui molti filosofi del Novecento che si sentirono in dovere di replicare alla sua interpretazione. Gli echi di queste risposte sono giunti fino a noi con tutta la loro problematicità. Per cogliere il valore attuale di tale questione è apparso necessario rileggere, approfondire e contestare quello che il secolo scorso ci ha trasmesso, mediante un confronto critico, in particolare con la pretesa dell'umanismo di dire l'umano e le sue declinazioni. Ecco, allora, che la questione dell'umanismo non rappresenta solo un tema che sta a cuore alla filosofia accademica, quanto il tentativo di fare i conti con l'uomo e con la dimensione di hybris a esso connaturato. Riproporre tale questione oggi, in un'epoca che ha vissuto l'antiumanismo, mettendo sempre più in discussione la differenza specifica tra uomo e animale, significa individuare su quale tipo di autocomprensione l'uomo debba puntare per la costruzione del futuro. Le risposte avanzate dai contribuiti qui raccolti sono varie: l'umanismo deve fare i conti con la costitutiva malvagità dell'uomo, ma anche con la richiesta di senso che lo contraddistingue; non può prescindere dalla questione della salute e della cura della malattia, ripensate però all'interno di una dimensione naturale che decentra la posizione dell'uomo nel cosmo. Rinnovare il dibattito sull'umanismo sospende il giudizio sull'umano - ritenuto sempre oggetto di realizzazione futura - e mette in guardia dalla tentazione di rapportarsi all'uomo nell'ottica di una «salvezza redentiva».