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Quando Giovanni Pascoli raccoglie nel 1903 in questo testo celebre e introvabile le sue idee sulla poesia, egli in realtà fa molto più che definire una poetica. Il "fanciullino" che parla dentro di noi e "confonde la sua voce con la nostra" non è soltanto una figura dell'infanzia dell'umanità o un'immagine del linguaggio metaforico della poesia. È una creatura inquietante e feroce, in cui la lingua nasce ("egli è l'Adamo che primo mette i nomi alle cose"), ma anche muore e si disfa. Come Agamben mostra nel suo saggio introduttivo, Il fanciullino è una delle meditazioni più profonde sul luogo da cui proviene non la parola, ma la "voce" della poesia.