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Nelle opere di Joel-Peter Witkin, Robert Mapplethorpe e Andres Serrano, la fotografia si fa corpo e questa fusione, un "corpo fotografato" diventa così un testo che narra il visibile, l'immagine, il racconto dell'esperienza umana. Nel vis-à-vis con i corpi catturati dall'obiettivo, lo sguardo viene urtato, pungolato da una semantica di morte, di sacro, di sangue. Il mistero del corpo aumenta il suo ermetismo slittando dalla pelle alla pellicola e si perde nel pulviscolo di tematiche che i tre artisti affrontano con profondo spirito di sovversione e di provocazione. È una passerella di corpi afallici e acefali, di significati mozzati dal senso comune, di lucide follie che attraversano il postmodernismo giocando sull'ambiguità dell'ombra, sulla perpetua sensazione che mantiene lo sguardo del lettore nell'incertezza del chiaro-scuro: un ricamo di corde a cui sono legati temi come la vita e la morte, il sacro e il profano, il maschile e il femminile. È un racconto di morte, in definitiva, quello che emerge dai loro scatti: Glassman, Woman Once a Bird, Ken Moody, Morgue solo per citare le foto più note al pubblico. L'autrice propone delle fenditure, degli spazi di lacerazione dove la comparazione tra i "testi fotografici" provoca un urto di senso, dimostrando come la fotografia non sia semplice luogo di contemplazione del bello, bensì eterno risuonare delle campane funebri. Questo saggio ha forse come unico, vero scopo quello di condurre l'occhio all'apice del suo godimento.