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La secolare abitudine alla confessione della lussuria ha lasciato tracce nella nostra sensibilità e nel linguaggio ordinario nel quale risuonano le categorie teologiche di concupiscenza, tentazione, occasione, peccato. Il libro immerge il lettore in un'atmosfera che ci è, in qualche modo, familiare, ricorrendo a frequenti citazioni dai testi penitenziali e a un linguaggio mimetico che riproduce il clima che li ha generati. Emergono così i diversi attori: il teologo, produttore e strumento del discorso; il confessore, esperto negli interrogatori; il penitente che in quegli interrogatori vede strutturata la sua sensibilità erotica; l'autorità romana che controlla i discorsi e li finalizza ai suoi interessi egemonici.