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Al di là delle varie definizioni, che via via sono state assegnate dalla critica, in poco più di un quarto di secolo la narrativa italiana si è scontrata con due realtà opposte, subendone decisivi condizionamenti. Fino al 1943, infatti, deve fare i conti con un regime dittatoriale, che controlla ogni aspetto della vita, anche la cultura, per cui lo scrittore che non ne condivide gli indirizzi politico-culturali copre a volte il racconto con i simboli o pubblica all'estero, cercando di sfuggire alle maglie della censura e al rischio di essere mandato al confino, come accade, fra gli altri, a Pavese e a Carlo Levi. Dopo la guerra, con la nascita dello Stato repubblicano e democratico, l'intellettuale deve misurarsi coi partiti di massa e con la divisione del mondo in due blocchi. In ambedue i casi, quindi, la letteratura finisce per porsi contro la politica istituzionalizzata, cercando di emanciparsene, ovviamente, in modi differenti. È come un fiume carsico: nel primo periodo scorre in maniera nascosta, nel dopoguerra assume le caratteristiche di un torrente in piena, che si divide in vari rigagnoli.