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"Come un tumultuoso, barocco 'sueño del infierno' - una "voragine" che inghiotte "qualsiasi forma di nostalgia" e poi la rovescia in impegnata consapevolezza contro un contesto dove "tutto è futile, tutto è smagliato/ [...]/ lasciato lì" - è questo libro votato a un'autobiografica Identificazione fisiologico-comportamentale: libro avverso all'infetto "scenario di cartapesta", all'"entropia universale" che tutti ci aduggia e il poeta stigmatizza "senza troppo zelo ma non troppo disimpegno". Lui, âgé per l'inane anagrafe, è ancora quel ragazzo dallo spirito avventuroso ("Sembri uno zingaro mi diceva mia madre") che torna "a casa sporco, stracciato, in disordine, eccetera"; e subito dopo, inesausto e metamorfico dandy, eccolo, impassibile, raffrenando ogni sdegno e passione, ad "annodarsi la cravatta nella tormenta". Infatti, non c'è zelo nel rapporto con l'immediatezza delle cose da parte d'uno scrittore 'totale' qual è Mario Lunetta; bensì un sobrio engagement filtrato dalla registrazione, critica e paradossalmente onirica, d'una realtà che, assunta per quella che è, appare poi 'sognata' per come dovrebbe essere." (dalla postfazione di Stefano Lanuzza)