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Come ci ricorda Proust nel suo Contro Sainte-Beuve, "un libro è il prodotto di un io diverso da quello che si manifesta nelle nostre abitudini, nella vita sociale, nei nostri vizi." Come non essere d'accordo? Sono i testi che devono parlarci, anche quando sappiamo poco o nulla del loro autore, o costui (basti pensare a Omero) forse non è neppure esistito. Ma è davvero difficile applicare un simile criterio a Giorgio Zampa. Se proprio dovessi rispecchiarlo in una delle sue molteplici maschere, sceglierei forse quella del Traduttore, non tanto perché solo pochi eletti come Praz o lui avrebbero potuto affrontare corpo a corpo un testo di Dostoevskij o di Strindberg in lingua originale, quanto perché in questa figura ambigua e indispensabile di traghettatore da un idioma all'altro si rispecchia al meglio la natura anfibologica di Giorgio. Con buona pace di Proust, è dunque all'uomo Zampa che dobbiamo ritornare, se vogliamo decifrarne l'arduo camouflage intellettuale. (Dall'Introduzione di Roberto Barbolini)