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Siamo sprofondati nella crisi. Pare che l'unica soluzione sia supplicare gli stessi dèi litigiosi che l'hanno provocata: l'economia e la finanza. Il sociale, la democrazia, l'etica sono sospesi quasi fossero hobby per chi ha del tempo da perdere. Si invocano il senso di responsabilità, il bene comune e la solidarietà con gli altri. Questi, tuttavia, non possono venire da soli, non come copertura per qualcos'altro, come belletti dell'ultimo minuto. Sono due le condizioni per parlarne con serietà. Anzitutto ritornare a prendersi cura del luogo dove acquistano senso, della città degli uomini con i suoi squilibri inaccettabili. Quindi rimettere al centro, con il lavoro, il lavoro sociale e il lavoro pubblico spesso disprezzati in malafede e dismessi verso porti clientelari. Nella galassia del lavoro sociale (scuola, sindacato, cooperazione sociale, amministrazione pubblica, servizi educativi, interventi umanitari, assistenza), nei suoi codici etici mondiali, ci sono i germi di una contro-globalizzazione. E l'invito a una responsabilità per l'altro in quanto altro, anche nel lavoro.