Tab Article
«Sì, farò così». Con queste tre parole sarebbe dovuto finire il mio terzo romanzo, con l'ultima risposta di Io a Spirito, al termine del lungo racconto sulla mia menomante malattia, finita, comunque, con un lieto fine: altrimenti non sarei qui a parlarne. E invece all'improvviso la Commedia si è tramutata in Tragedia: ho perduto la mia Beatrice. Dopo quarantacinque anni e dieci mesi di matrimonio, la dolce sposa, la compagna inseparabile, la mia ispiratrice, la mia guida, il mio sostegno se n'è andata. Con lei il tumore è stato meno delicato: l'ha spezzata nel breve volgere di pochi giorni, nessuno passato a letto, dopo aver trascorso gli ultimi quattro anni di vita a farmi da badante, da infermiera, da assistente, da autista. E ho dovuto, mio malgrado, proseguire la narrazione - il mio è un "romanzo aperto", una sorta di diario, senza averne però la forma - per poter parlare di lei, non solo della sua morte, ma della sua vita, di quanto lei ha detto, ha fatto, ha scritto. Per questo ho aggiunto la sua firma: il suo apporto al romanzo è fondamentale, esempio di un'esistenza da ammirare e da imitare.