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Qualsiasi ciotola ricorda le mani unite nel gesto di raccogliere l'acqua; ciotole e scodelle sono presenti ovunque e da almeno diecimila anni; non tutte le ciotole sono uguali, pur potendo servire ai medesimi scopi. E molte si rompono, con le conseguenze di carattere archeologico che ciò determina. Questi, in sintesi, gli argomenti di cui tratta il presente libro, traendo spunto da alcune domande. Classificare è una peculiarità umana? Perché classificare è operazione quotidiana in molte discipline scientifiche, e in archeologia è importantissima, ma non lo è in altre discipline storiche? Perché classifichiamo nei modi che sono consueti? Sostenere che si classifica per mettere ordine, o che non esiste conoscenza senza classificazione, non è sufficiente. Occorre chiederci se l'impegno profuso produca sempre un qualche risultato. E se la ricerca del meglio talvolta non precluda il raggiungimento del bene. Più in generale, quale consapevolezza abbiamo della relazione fra il come classifichiamo e le interpretazioni che ne conseguono? Quali 'trappole' si celano perfino nelle classificazioni più oggettive? Molte delle classificazioni che facciamo sono apparentemente ovvie, naturali, implicite, esperienzali, inconsapevoli e condivise da tutti quanti conosciamo. Altre, invece, sono classificazioni elaborate a tavolino, insegnate con metodo, acquisite nel tempo, valutate a posteriori. Specialistiche. Fra teorie e prassi, tutti noi ? archeologi e non ? classifichiamo. E classifichiamo per come 'viviamo' il presente ma anche per come 'pensiamo' le cose, singole e in associazione, lo sviluppo storico, i modi di vivere nelle società del passato.