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Fin dalla sua infanzia Anita Pichler era a conoscenza delle arcane storie di cui è circonfuso il leggendario regno di Fanis, che in epoca arcaica si estendeva intorno all'omonimo gruppo montuoso nelle Dolomiti, tra la Val Badia e Cortina d'Ampezzo. Si tratta di un cospicuo patrimonio di leggende e favole compreso nella secolare tradizione orale ladina, di cui tuttavia si conservano solo frammenti. A partire da questi frammenti, integrandoli e disseppellendone gli strati originari, Pichler compone un preciso quadro narrativo, offrendoci una nuova, affascinante versione dell'epopea di Fanis e del suo antico popolo, gli operosi e pacifici Fanes. Frutto di un rigoroso lavoro filologico, prende così forma un universo magico di semidivinità cosmogoniche e di esseri primigeni, di animali totemici e di riferimenti simbolici a una piena fusione tra uomo e natura. E si fa largo un'inedita interpretazione lirico-matriarcale che situa al centro del racconto tredici enigmatiche figure femminili, creature selvagge e metamorfiche appartenenti a un "tempo prima del tempo", a un luogo mitico e primordiale in cui collocare una possibile idea dell'Inizio. L'appendice critica di Ulrike Kindl ricostruisce l'origine delle saghe e la vicenda legata alla loro ricezione, e ci mostra i diversi volti assunti dalle donne di Fanis nel corso della trasmissione orale e scritta delle loro gesta, evidenziando un sostrato linguistico e culturale nutrito di molteplici influssi e contaminazioni.