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In questo libro - uno dei più famosi di Ortega - si intrecciano due motivi fondamentali: quello della vita come dialogo drammatico fra l'io e la circostanza e quello della ragione storica come via maestra per giungere a comprendere dal di dentro il dramma di un soggetto (individuale o collettivo). Analitica esistenziale e sociologia storica cessano così di essere due ottiche antitetiche e si trasformano in modi distinti ma tuttavia complementari di radiografare la realtà umana. Di fronte al metodo della ragione vitale e storica l'uomo appare come l'essere condannato a tradurre la necessità in libertà, a trasformare la circostanza socio-culturale in cui è stato gettato dal caso nella sua vocazione per dare un senso alla sua avventura esistenziale. Ne risulta che il mito che meglio è in grado di raffigurare la condizione umana è quello di Sisifo: costretto a spingere un macigno verso una vetta che non raggiungerà mai, quindi condannato all'infelicità e tuttavia segretamente dominato dalla speranza di vincere l'alienazione.