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Il pensiero di James Hillman è considerato alla luce del confronto con Carl Gustav Jung e in relazione alla tradizione classica di ascendenza neoplatonico-rinascimentale che, ricondotta al tempo presente, alimenta l'originalità della sua collocazione nella filosofia e nella psicologia del profondo. Hillman è portavoce della trasformazione epocale dei confini tra la coscienza e l'inconscio e della modalità dell'uomo di stare al mondo. A una distanza storica da Jung, raccoglie la teoria degli archetipi dell'inconscio collettivo liberandola dagli ultimi baluardi di un ormai logoro monoteismo della coscienza: accoglie l'eredità "pagana" di Jung e ne mette a frutto ermeneutico il lascito, spingendosi oltre il fronte dell'"eresia" nei confronti del cristianesimo, per una rivendicazione della tradizione classica e del discorso mitico come logos della psyche. La differenziazione tra i due si focalizza nell'analisi dell'idea archetipale di Anima introdotta da Hillman che, di contro all'archetipo del Sé di Jung, riflette, nel vissuto dell'uomo contemporaneo, il passaggio da un cristianesimo comprensivo di ciò che storicamente ha rimosso, a un paganesimo che lo contiene, trasfigurato, al suo interno. Un passaggio leggibile nel rovesciarsi dei rapporti tra particolare/ universale, unità/molteplicità determinato dallo sgretolarsi del pensiero metafisico improntato all'idea di identità e unità trascendentale dominante nella cultura occidentale.