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In Italia, dal 1938 al 1945, fu in vigore una normativa duramente discriminatoria contro tutti gli ebrei residenti nel paese, che divenne progressivamente sempre più drastica fino a sfociare nella deportazione e nell'assassinio. La drammatica rilevanza di quegli eventi permette di misurare il contrasto fra la loro effettiva dimensione e il dibattito parlamentare intorno alla Legge Terracini del 1955, che avrebbe dovuto offrire un risarcimento alle vittime della persecuzione voluta da Mussolini. L'autrice ne dà conto attraverso le parole dei protagonisti e analizza poi come in sede amministrativa e giurisprudenziale la condizione degli ebrei perseguitati fosse non solo sottovalutata e mal compresa, ma esplicitamente misconosciuta; riporta alcuni casi esemplari e propone infine un quadro puntuale di quanti sono stati fino ad oggi i perseguitati "razziali" riconosciuti meritevoli delle provvidenze stabilite sia dal dal testo iniziale sia dalle leggi di modifica approvate poi. Il libro offre così uno squarcio illuminante sul modo in cui le diverse culture politiche del secondo dopoguerra si sono misurate con le persecuzioni antiebraiche e con le loro conseguenze di più lungo periodo.