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Il saggio prende spunto da una considerazione suggerita da un famoso passo di Vitruvio (6, 5, 2), in cui l'architetto illustra le caratteristiche delle dimore di facoltosi cittadini: nella sequenza di ambienti, che si apre con vestibula regalia alta, atria et perystilia amplissima..., vengono citate anche bibliothecas, pinacothecas, basilicas. Particolare interesse in questo elenco suscita il riferimento alle "pinacoteche", giacché induce a un più approfondito ordine di riflessioni in merito al fenomeno del collezionismo di quadri nel mondo antico e alle modalità attraverso cui esso veniva realizzato. Ormai assodata è la presenza di pubbliche raccolte di pitture su tavola, così come ben noto è il fenomeno dell'esposizione di manufatti preziosi nei luoghi sacri, espressioni non solo di una consapevolezza del valore delle opere, ma anche della volontà di consentirne il pubblico godimento; ancora tutta da verificare è invece l'ipotesi che le pinacoteche private contenessero effettivamente tabulae pictae. "Pinacothecae. Testimonianze di collezionismo di quadri nel mondo antico" tenta ricostruire la fisionomia sotto cui potevano presentarsi le gallerie di pitture attraverso un esame incrociato tra fonti letterarie, che offrono notizie relativamente alle raccolte di quadri, e le attestazioni archeologiche. Ed è in questa particolare prospettiva che vengono riletti i cicli di affresco delle domus, italiche e provinciali per un arco di tempo che va dalla metà del I secolo a.C. sino al IV secolo d.C. ca., per verificare se le composizioni figurate riproducenti pannelli di grande o piccolo formato - dotati di finti sportelli lignei o di cornici sagomate - possano essere interpretate non solo come frutto di una scelta operata dal committente per comunicare un determinato messaggio, bensì come riproduzioni "economiche" della grande pittura da cavalletto. Presentazione di Monica Salvadori.