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Negli ultimi cinquantanni la medicina ha fatto progressi enormi. Tuttavia, l'opinione pubblica vi ripone una fiducia eccessiva e, in mancanza di guarigione, la conclusione è una sola: il medico ha sbagliato. Si è modificato anche il rapporto medico-paziente, così come l'etica stessa della medicina: il medico "tradizionale" non esiste più, il contatto con il paziente è per lo più impersonale e anonimo. Come risultato, la conflittualità tra chi cura e chi va curato è aumentata esponenzialmente e nei casi più estremi può essere risolta solo nelle aule di tribunale. Prendendo spunto da nove casi di malamedicina che ha seguito in qualità di consulente tecnico presso vari tribunali o per privati cittadini in cause civili e penali di malpractice, l'autore affronta le questioni nodali all'origine dell'"errore in medicina" e dell'aumento delle cause civili e penali: come evitare che i medici si sentano accerchiati dai mass media e dai cittadini? Come ridare al medico dignità professionale e al paziente fiducia in chi lo cura? Come conciliare tra loro clinica e tecnologia, pietas ed efficienza, limitazione delle risorse e risultato ottimale? Perché di malamedicina non si debba più morire.