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C'è un filo sottile che lega "Weimar" a Hiroshima. È il filo conduttore della ricerca scientifica quello che faustianamente può produrre bene o male a seconda dell'uso che noi facciamo dei risultati delle scoperte scientifiche. È quello che da "Weimar" va fino alla bomba atomica su Hiroshima. La Repubblica di Weimar nata dal disastro della "grande guerra" noi la ricordiamo con le lenti appannate del tempo, come i lontani "roaring twenties". Momento di grandi artisti, pensatori, esperimenti sociali e grandi scienziati, compreso Einstein. Ma anche di turbolenze politiche, movimenti sindacali e grandi masse di disoccupati. È il tempo per Osvald Spengler, Thomas Mann e altri scrittori di riflettere sulla decadenza dell'"Occidente" che andrà incontro ai fascismi neri e rossi e a una guerra catastrofica peggiore della prima guerra mondiale. Finiti i valori etici, politici e sociali che l'"Occidente" aveva sparso per il mondo? Sembra quasi un paradosso vedere un paese di grande cultura come era la Germania agli inizi del '900 scivolare lentamente verso uno dei peggiori regimi: il nazismo. Viene allora da chiedersi se la cultura possa essere un antidoto al male. La risposta è no. Durante gli anni ruggenti di "Weimar" non c'è solo Marlene Dietrich ne "L'angelo azzurro", ma ci sono, ai seminari di Gottinga, in Germania, nel '26 e '27, fra gli altri fisici, Fermi e Oppenheimer che ritroviamo, alla fine degli anni '30, in America, e che saranno i realizzatori della bomba atomica.