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L'aver imposto, anche se in modo forse troppo schematico, l'affermazione del merito nell'esercizio dell'insegnamento (L. 107/2015) è decisione indubbiamente meritoria in sé. Diverso il giudizio sul modo scelto di attuarla. Anche le migliori intenzioni e i migliori propositi, se mal gestiti, possono rivelarsi controproducenti e distorcenti rispetto alla situazione che si intendeva migliorare. È questo il caso dell'introduzione del merito nel mondo della scuola: un mondo bisognoso, da decenni, di un riconoscimento istituzionale della dedizione, appassionata e piena di scrupoloso impegno, di molti insegnanti. In questo senso si può affermare che La Buona Scuola ha sicuramente perso l'occasione di riconoscere, anche se con notevole ritardo, il valore della qualità dell'operato quotidiano di quei docenti che hanno mantenuto alto il livello della loro professionalità. Per meglio precisare la distanza tra le direttive governative e quanto sarebbe opportuno che esse contenessero e prevedessero, ci aiutano le affermazioni spontanee degli studenti riportate nella seconda parte di questo libro. Esse disegnano i tratti basilari del buon insegnante che è quello che rivela passione nello svolgimento del proprio lavoro, quello che si impegna anche e prioritariamente come educatore ed esempio di moralità, che non considera gli allievi dei numeri, ma persone da formare, che parla volentieri con i ragazzi anche dei problemi di attualità e di quelli loro personali, che è disponibile a ritornare su ciò che non è risultato chiaro, che valuta i progressi in funzione delle difficoltà iniziali dell'allievo: aspetti, questi, che fanno parte - è vero - della funzione docente, ma che finora non sono mai stati valorizzati (e tantomeno premiati). È il ritratto di una persona che ama la propria professione: una passione che i ragazzi sanno riconoscere distintamente e immediatamente. Gli allievi chiedono infatti ai docenti professionalità, serietà e affidabilità nel comportamento, alto profilo culturale, trasmissione di amore per il sapere.