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Esperienza di solitudine e autoironia, avvertimento di abbandono e capacità di prenderne le distanze, con il sorriso pacato e solidale di chi pensa che tanto è il Destino che pesa sull'umanità: questa è la cifra ontologico-esistenziale di Sergio Lanari, che pervade le pagine dei suoi racconti, lievi e densi al contempo. Ci sono persone che, al mondo solare e lineare, preferiscono quello "dei problemi", perché nel primo si sentirebbero inadeguate, mentre nel mezzo di un "labirinto di scacchi" scorgono l'humus in cui possono trovare pungolo alla comprensione della realtà. Questa scelta può portare ad un bivio: cadere nella cupezza inconcludente ed autocommiserante, oppure cercare di prenderne le distanze, non per negarla ma per osservarla con il tentativo di oggettivarla. E ciò può avvenire solo a patto di mantenere un continuo dialogo con la propria interiorità con un distacco razionale, alimentato da calda partecipazione ai destini umani: è quello che fa Lanari. Tramite questa serie di racconti, l'autore vuol "manifestare" di aver intrapreso il cammino di risalita dal fondo cavernoso che ognuno di noi si porta dentro e di essere in grado di guardare la materia umana con la lucidità che non esclude la "compassione".