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Una donna di primati, Margaret Bourke-White. La prima ad arrampicarsi sulle colate di ferro delle fonderie e ad affrontare il calore delle fornaci pur di realizzare fotografie industriali insolite, visionarie. La prima ad affrontare la fotografia aerea con sprezzo del pericolo ("se ti trovi a trecento metri di altezza, fingi che siano solo tre, rilassati e lavora con calma", questo il suo motto). La prima a realizzare un libro a quattro mani di testi e fotografie sulla Depressione degli anni Trenta nel Sud degli USA. La prima a documentare la Russia del piano quinquennale e l'unica in grado di ottenere una sessione di posa da Stalin. La prima per cui viene addirittura disegnata la divisa di corrispondente di guerra. E poi, la prima a riprendere l'orrore del campo di concentramento di Buchenwald, a testimoniare l'India nel momento di separazione dal Pakistan e l'unica a realizzare un intenso, iconico ritratto del Mahatma Gandhi poco prima della sua morte. La prima a scendere sottoterra con i minatori in Sudafrica, a fotografare la segregazione razziale degli USA a colori. La prima, soprattutto, a non sottrarsi alla macchina fotografica diventando a sua volta il soggetto di un reportage che illustra, documenta e testimonia, con la forza e l'amabile tenerezza dello sguardo del collega Alfred Eisenstaedt, la sua lotta contro il Parkinson che la immobilizzerà e la porterà alla fine. In quei momenti Margaret, famosa per la sua eleganza e il gusto innato per i vestiti cui non rinuncerà mai, non ha paura di mostrarsi debole, invecchiata e impaurita con i capelli rasati a zero. La prima, insomma, quasi in tutto. Con le sue immagini, le sue parole, la sua vita, Margaret Bourke-White è stata in grado di creare un personaggio forte e invidiabile costruendo il mito attraente di se stessa, donna e fotografa.