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Scrittore e teorico del romanzo otto-novecentesco di riconosciuta importanza, Henry James nasce a New York nel 1843, si trasferisce in Inghilterra nel 1876 e nel 1915, un anno prima della morte, chiede la cittadinanza britannica. L'espatrio, l'adesione apparentemente entusiasta al Vecchio Mondo e la rinuncia alla cittadinanza d'origine hanno a lungo orientato il giudizio critico, mettendo al centro dell'attenzione il rapporto con l'Europa e cancellando dal quadro interpretativo la relazione tormentata tra James e gli Stati Uniti d'America. Ripercorrendo la lunga storia critica dello scrittore e muovendosi tra una pluralità di fonti primarie, questo lavoro dimostra la centralità dell'idea di nazione e il complesso intreccio tra identità nazionale, genere e razza nelle opere, nella vita, nella canonizzazione e ricanonizzazione di James. Per più di cento anni, James è stato al centro dell'agenda nazionalista dei nascenti studi americani statunitensi in quanto americano espatriato e come tale modello negativo di anti-americano o, all'opposto, come americano ideale che grazie alla distanza dalla madrepatria riesce a guadagnare un punto di vista cosmopolita. Nella ricostruzione di Petrovich Njegosh, il legame dello scrittore con la Gran Bretagna si rivela ambivalente, ma soprattutto non esclusivo. E mentre l'Italia diventa nel tempo esempio di modernità complessa, alternativa a quella statunitense, James assume il ruolo del "buon americano", l'americano che nonostante l'espatrio mantiene l'identità delle origini.