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Non è facile definire che cosa sia la "razza", anche se la maggior parte di noi concorda nel ritenere che consista in qualcosa che possiamo vedere, cioè un aspetto dell'identità scritto nel corpo e in particolare sulla pelle. Tra i tratti fisici che la segnano (e l'assegnano), è infatti il colore della pelle a costituire, nella cultura occidentale, il marcatore razziale per eccellenza. Ma è davvero così? E a partire da questo interrogativo che il volume intende esplorare il nesso fra razza e visualità, indagando come le pratiche del vedere determinino la nostra percezione della "bianchezza" e della "nerezza". Contravvenendo a un'idea secondo cui la razza sembra "naturalmente" percepibile attraverso la visione, i saggi qui raccolti si assumono il compito di indicare come la visualità e la percezione della razza (e della nerezza come suo identificatore principale) siano il prodotto delle condizioni storiche e spaziali nelle quali si inscrivono. Attraversando l'ampio spettro delle scienze umane e analizzando testi, film e graphic novels che spaziano dall'Africa all'America all'Italia, essi dimostrano come la determinazione della razza e dei processi visuali che contribuiscono a "connotarla" siano il prodotto di dinamiche complesse che attraversano mezzi espressivi e contesti nazionali differenti. La visualizzazione della razza non può più essere considerata semplicemente come un confronto/scontro fra uno sguardo egemonico bianco occidentale e uno sguardo "altro"; essa deve essere intesa, invece, come un processo di negoziazione fra diversi soggetti del "vedere", dal quale nascono nuovi paradigmi visuali.