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Per avere un quadro del Novecento messicano sono sufficienti due opere. Mi riferisco naturalmente al Libro vuoto di Josefina Vicens e al Pedro Paramo di Juan Rulfo. Il giudizio di Arturo Canseco è largamente condiviso dalla critica messicana, concorde nel leggere il romanzo "rurale" di Juan Rulfo e quello "cittadino" di Josefina Vicens come un perfetto compendio della svolta radicale che negli anni '50 del secolo scorso ha inaugurato l'epoca letteraria più gloriosa e fortunata della letteratura latinoamericana. A differenza del Pedro Paramo, che in Italia è alla sua quinta riedizione, l'opera maestra di Josefina Vicens è tradotta per la prima volta in questo volume. Il "libro vuoto" è il quaderno che José García, ragioniere contabile di mezza età e di candida immaginazione, estrae ogni sera dal cassetto e sfoglia con pudore e tenerezza, al riparo dallo sguardo discreto della sua famiglia, deliziandosi alla vista delle pagine bianche su cui sogna di comporre il romanzo che gli darà chiara fama. Ma in attesa della giusta ispirazione, José non rimane inerte. Su un secondo quaderno annota giorno dopo giorno i pensieri, le impressioni, i dilemmi, i piccoli episodi e le vive emozioni che costellano l'umana avventura della sua vita quotidiana. Lo fa con il trasporto di chi scrive per forza di necessità, mosso da un bisogno incalzante, fisico oltre che spirituale.