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Lo studio indaga la vexata quaestio dell'arbitrabilità dei diritti. Si osserva che, pur potendo ricondurre l'arbitrato al concetto di processo, esso si differenzia rispetto al giudizio statuale, poiché, nascendo dall'autonomia privata e non dalla legge, trova un limite insuperabile nella necessità di individuare il rapporto sostanziale oggetto della lite. Partendo da tale assunto viene tratteggiata la nozione di azione arbitrale "tipica". In seguito, è enucleata la nozione di azione arbitrale "vincolata": la salvaguardia delineata dalle norme sostanziali che disciplinano alcuni diritti si ripercuote sulle modalità di realizzazione del processo, che può essere validamente esperito solo qualora sia garantita l'attuazione di uno specifico "diritto processuale arbitrale". Nella seconda parte dello studio vengono analizzate le liti riconducibili all'azione arbitrale "vincolata" e, nella terza parte, le ipotesi di inammissibilità dell'azione arbitrale. L'analisi si conclude con una riflessione sul valore attuale dell'arbitrato amministrato nel corso della trattazione, come antidoto per superare i fittizi limiti relativi alla compromettibilità dei diritti.