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L'autore manifesta coraggio ed umiltà nel mettersi a nudo, senza remore, infingimenti, senza traccia d'ipocrisia, ovvero di quell'ottavo peccato capitale che egli aggiungerebbe ai sette noti e di cui, per massima parte, ammette la colpevolezza. Confessa di essere consapevole che la sua vita, costellata d'incompiutezza, non sempre ha quagliato. Ne conseguono insoddisfazione, amarezza, solitudine, impotenza di non poter più rimediare a ciò che è stato e soprattutto la consapevolezza di un'esistenza troppo breve, inadeguata al tempo che si vorrebbe ancora utilizzare al recupero, perché spesa su sentieri di brame terrene, labili, caduche, insoddisfacenti, insulse. Tuttavia, accanto a queste componenti interiori di disagio, non sfuggono altre sfaccettature che oltrepassano la luce nera, svelando il Giano bifronte che è presente nell'autore, che ne illuminano la parte più profonda dell'anima, capace di afflati genuini, puri, semplici, come quando il cuore avverte il bisogno di affermare: "C'è più universo/ in noi/ che fra le stelle".