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"Venezia. Janko Burkovic, un anziano montenegrino ex impiegato di cinema, riceve un invito per recarsi alla prima di un restauro d'autore: Canal Grande, il film 'disastro' del suo amico di una vita, il conte Andy di Reminiac. Con questo pretesto Janko lascia vagabondare la sua memoria a quei tempi lontani, all'Italia degli anni '30, alla Venezia di Reminiac, di Volpi di Misurata e del signor Mayerling, pioniere nella gestione di sale cittadine. Attraverso gli occhi di Janko assistiamo alla progressiva ed ineluttabile rovina di Andy di Reminiac, del signor Mayerling e di tutta una società che pensa sia 'meglio morire che convertirsi al mondo come va'." (Giovanni Montanaro, nella sua Prefazione). Questo racconto lungo, che è una "affettuosa descrizione di una nobiltà e di una classe dirigente infantile ma libera" (Montanaro), non è solo un nostalgico ricordo di vite dimenticate ma anche un documentato resoconto di un segmento di storia del cinema italiano troppo spesso trascurato dalla critica ufficiale.