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Nato ai bordi dell'Italia ma in mezzo all'Europa, da Trieste Matteo Boniciolli intraprende un lungo viaggio che lo porta al centro della pallacanestro. L'esperienza giovanile, gli anni della Stefanel, la Nazionale, i primi successi a Udine, l'inaspettato trionfo ad Avellino. Ma anche le stagioni di Roma, Teramo, Messina. Il ritorno a Trieste. E poi il palcoscenico di Bologna, negli anni d'oro di Basket City. «Tutta la mia vita è stata decisa dal fatto che sono alto». I grandi americani, le riflessioni, i talenti italiani, le amicizie, i maestri, le rivalità. I derby fra Fortitudo e Virtus, vissuti da entrambe le panchine, con un rumore in sottofondo, «il rumore della battaglia, l'unica cosa che ci mancherà quando saremo vecchi e dimenticati». L'avventura all'estero: prima in Belgio, poi in Kazakistan, dove diventa anche et e viene premiato come migliore allenatore di Russia. E da lì la scelta sorprendente di tornare alla Fortitudo, in quarta serie, per riportarla al suo posto. Quella di Boniciolli è una vita tutta in direzione ostinata e contraria. Da quando Nicoletta, che sarebbe diventata sua moglie, lo convinse a non andare a vendere estintori, «perché tu sei nato per fare l'allenatore di pallacanestro».