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"Eravamo amici da ragazzini, da adolescenti. Mi ricordo ancora i pomeriggi estivi trascorsi sul terrazzo di casa sua a strimpellare le nostre chitarre, immaginando un domani di emulare le gesta di Carlos Santana. Poi ci perdemmo di vista, inspiegabilmente. Capita, talvolta, senza delle plausibili ragioni, di non ritrovarsi più. Poi, all'improvviso, ci siamo rivisti dopo oltre quaranta anni, ognuno oramai libero dai suoi impegni di lavoro. E ci siamo raccontati, in un primo approccio, i nostri trascorsi lavorativi. Il mio sicuramente più piatto del suo, ma comunque gravido di rogne ed anche di qualche insidia fisica (chi ha lavorato presso i Centri per l'impiego sa che una utenza particolare e talvolta esacerbata può condurre spesso ad azioni improvvide). Il suo lavoro, invece, alquanto più "movimentato", per usare un eufemismo. Verlasca aveva fatto niente popò di meno che per ben trentacinque anni un lavoro da poliziotto. E per lunga parte, nel ruolo di tutto rispetto, di ispettore capo. Quindi già da un primo approccio, dai primi contatti, mi aveva anticipato più di una sua impresa condotta contro il crimine, organizzato e non, che s'era trovato a fronteggiare. Mi raccontava, con giustificata fierezza, del come, da giovanissimo disoccupato del sud, s'era arruolato nelle forze di polizia. E del come, pur potendo fare affidamento soltanto sul diploma di licenza media inferiore, aveva registrato sorprendenti avanzamenti nella carriera raggiungendo, ancora in giovane età, il grado di ispettore capo. Niente male davvero! Poi, una volta che i nostri incontri si erano regolarizzati, vivendo nella stessa bellissima e vivibilissima comunità murgiana, abbiamo approfondito le sue vivaci... azioni. Intrigato e stimolato dai suoi input avventurosi un giorno lanciai la provocazione: "Quasi quasi ne potrebbe nascere un romanzo"...