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Chi era Robespierre? Un incorruttibile paladino del popolo o un sanguinario tiranno? Eroe per alcuni, contraltare negativo per altri, l'enigmatico Robespierre ha incarnato nella maniera più plastica i due volti della Rivoluzione: da campione dei diritti del popolo a fautore della ghigliottina, sotto cui egli stesso cadde. Ci sono due Robespierre: l'«incorruttibile» e il «tiranno», l'eroe e il mostro, per usare le parole dell'epoca. Le due immagini corrispondono alle due fasi della sua carriera rivoluzionaria: l'oppositore e l'uomo di governo. Il problema essenziale che gli storici, e in generale tutti coloro che riflettono sull'eredità della Rivoluzione, si trovano ad affrontare consiste nel dover raccordare tra loro questi due momenti e i due volti che hanno trasmesso alla posterità. Come si passa dall'uno all'altro? Il filo rosso che collega l'intrepido oratore della Costituente e il padrone della Convenzione va ricercato nel pensiero che li anima. Marcel Gauchet ripercorre la parabola politica di Robespierre, attraverso la lettura dell'impressionante mole dei suoi tesissimi scritti, e tenta di rispondere a questi interrogativi mostrando come la transizione dall'affermazione dei diritti del popolo alla fondazione di un sistema politico basato su di essi non sia una cesura ma appunto un passaggio, potremmo dire necessario, con tratti di rottura violenta. Fare i conti con questo apparente paradosso equivale ad accogliere l'idea che le memorie divise della Rivoluzione debbano convivere, e ad oltre due secoli di distanza, in un'Europa in cui le democrazie parlamentari sono sempre più in bilico, la lezione di Robespierre, che incarna la tensione tra i principi fondativi della democrazia e gli imperativi dettati dal suo stesso quadro politico, è più che mai utile a riflettere su una contraddizione che ci riguarda da vicino.