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Nei due testi qui presentati, entrambi intitolati "Natura", Emerson mette a punto i capisaldi della sua filosofia: il primo saggio, scritto nel 1836, è considerato il manifesto del trascendentalismo americano, il secondo è rimasto pressoché nell'ombra, ma è altrettanto importante per capire il pensiero del filosofo americano. Nella natura emersoniana, restituita con la forza straordinaria di immagini tradotte dall'esperienza nella scrittura, l'uomo deve ritrovare il proprio posto, per ripristinare quel dialogo tra natura e Dio che pervade il creato. Al centro dei due saggi c'è l'invito a ristabilire un equilibrio che può darsi soltanto nella «corrispondenza», nella fratellanza, nella comunione con la natura: l'uomo - soprattutto l'individuo adulto, che ha disimparato a farlo - deve tornare a riconoscere l'ammiccare della natura, deve tornare a leggerla dentro di sé e nel medesimo spirito che pervade l'universo. In questo percorso l'uomo è assistito e accompagnato dalla natura, purché si abbandoni a un rapporto originale con l'universo, torni a guardare «la natura faccia a faccia». In questo spazio aperto dal dialogo tra uomo e natura si colloca l'arte: se è vero che la natura ha leggi proprie, c'è in essa una componente dinamica con cui l'uomo può interagire. In particolar modo il poeta, che interpreta la natura, «adegua le cose ai suoi pensieri» e vi imprime il suo essere. L'uomo per Emerson è simile a Dio, ma è un «dio in rovina» che può, anzi deve, ritrovare se stesso. È questo il suo compito principale: riacquisire consapevolezza del proprio posto nell'universo, ristabilendo il giusto rapporto con la natura.